La chiesa e il comunismo

La chiesa e il comunismo

il problema delle relazioni diplomatiche fra Roma e Mosca

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Al momento della conclusione del secondo conflitto mondiale l’U.R.S.S. si configura come una potenza europea che ha incidenza sugli interessi della tradizione cattolica nell’Oriente europeo. Le dichiarazioni dottrinali formulate dal Vaticano sotto forma di encicliche e di ammonimenti sulla stampa (“Osservatore Romano”) nei confronti del comunismo e delle sue manifestazioni, segnalate e prese in esame dal Buonaiuti, rivestono, anche retrospettivamente, un significato e una portata che coinvolge la funzione stessa del papato nella riorganizzazione del mondo che all’indomani della conferenza di Yalta si andava preparando. Il cristianesimo è nato comunista, e il comunismo è nato cristiano. Si tratta, naturalmente, di intendersi però così sul significato della parola cristianesimo, come sul significato della parola comunismo.
Apriamo il libro degli Atti, ai Capi IV e V. Come si sa, il libro degli Atti degli Apostoli, ufficialmente compreso nel canone del Nuovo Testamento, è la deliziosa descrizione della edificante vita della comunità cristiana di Gerusalemme, nel primo venticinquennio della sua storia. Il libro è attribuito a Luca, medico e compagno di San Paolo, cui è parimenti attribuito il terzo Vangelo canonico, terzo dei cosidetti Sinottici. E l’opera ha tutto il sapore delle testimonianze colte direttamente sui luoghi, con un singolare sentore di itinerari marinari, che ci fa spontaneamente rievocare, in tutta la loro patetica drammaticità, i viaggi missionari di San Paolo. Orbene, celebrando lo spirito di solidarietà e di carità che avvivava la primitiva famiglia cristiana gerosolimitana, l’autore degli Atti ci dice letteralmente così: «La moltitudine dei credenti viveva di un cuore solo e di un’anima sola. Nessuno di loro reputava proprio quel che possedeva. Ma tutto era comune fra loro… Non c’erano poveri nella comunità.

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